Il dolce inganno dello zucchero

Photo by Pipeman

Per quasi un milione di anni, fino a tempi molto recenti, l’essere umano non ha avuto mai a che fare con lo zucchero, se non nelle rare circostanze in cui si imbatteva in della frutta molto matura o in un favo carico di miele. Proprio per l’eccezionalità di questi eventi, il nostro organismo si è evoluto per trarre il massimo vantaggio da queste occasioni golose, accaparrandosi calorie in abbondanza da sfruttare poi in momenti di scarsità.

Sulla nostra lingua, infatti, sono disposti speciali recettori (noti oggi come T1R2/T1R3) che, non appena percepiscono il sapore dolce, inviano un potente segnale al cervello per disporre l’intera macchina in modalità “assorbimento e accumulo”.

Così, ogni volta che mettiamo in bocca qualcosa di zuccherino, questo messaggio raggiunge l’ipotalamo, il quale comanda l’ipofisi, la quale a sua volta lo trasmette al pancreas, che comincia a secernere insulina a più non posso!

Nel frattempo lo zucchero ingerito sarà stato rapidamente assorbito dall’intestino e riversato nel sangue e, grazie all’azione dell’insulina, verrà facilmente inglobato dalle cellule dell’intero organismo. Se non viene bruciato in tempi relativamente brevi, il glucosio in eccesso sarà infine trasformato in grasso di deposito.

Insomma, il segnale dolce induce accumulo di calorie.

Ma il meccanismo “ingrassante” non finisce qui: una volta consumato il carico di zuccheri presenti nel sangue, abbiamo un improvviso calo glicemico, che genera debolezza, irritabilità, ma soprattutto una imperiosa sensazione di fame, e ci induce ad assumere altri carboidrati semplici per ripristinare un livello glicemico ideale.

Si innesta così un circolo vizioso: più mangio dolce, più ho voglia di dolce.

Il consumo di zuccheri crea quindi dipendenza, e ciò avviene anche tramite la modifica della popolazione microbica intestinale, in quanto lo zucchero nutre riccamente alcune specie batteriche e fungine, che poi riescono ad indirizzare le nostre scelte alimentari, “chiedendoci” di assumere ancora, e ancora, alimenti dolci.

…E se scelgo cibi “light”?

La notizia sensazionale è che lo stesso identico meccanismo avviene anche quando al “sapore dolce” non è associato un reale introito di zucchero!

Quando mangiamo un alimento o beviamo una bevanda “diet”, “light” o “sugar free”, in cui lo zucchero è stato sostituito dagli EDULCORANTI ARTIFICIALI, il sapore percepito dai nostri recettori è pur sempre dolce, e questo basta a scatenare tutta la catena di eventi appena descritta, determinando picchi insulinici, accumulo di energia, e infine: ingrassamento.

Tutto il contrario di quello che vorrebbero venderci!

Al pari del normalissimo zucchero bianco, gli edulcoranti artificiali, se consumati regolarmente, possono provocare altri effetti deleteri sul nostro organismo, tra cui:

Gli zuccheri nascosti

Oggi, al contrario di quanto accadeva nella preistoria, le nostre case sono stracolme di dolci, di cui possiamo fare incetta a colazione, a pranzo e a cena, senza bisogno di arrampicarci su un albero o sfidare uno sciame di api. (Attenzione! Quando parlo di dolci, includo anche i carboidrati raffinati, se assunti in abbondante quantità e non adeguatamente bilanciati da fibre, grassi e proteine… per fare un esempio, il classico piattone di pasta di farina bianca…)

Lo zucchero è presente, in forma esplicita o mascherata, in una quantità infinita di prodotti confezionati che troviamo al supermercato, dai biscotti al cibo in scatola, dalle marmellate alle sughi pronti, dai cereali per la colazione al barattolo di pesto (…sì, persino lì!).

Per riconoscerlo, il trucco è semplice… Leggiamo le etichette!

Nella lista degli ingredienti potrebbero essere presenti:

zucchero, riportato anche con le diciture: saccarosio, destrosio, fruttosio, zucchero invertito, sciroppo di glucosio, sciroppo di mais o di riso

– dolcificanti artificiali (indicati con le sigle E420-21 ed E950-69), che si distinguono in edulcoranti intensivi (aspartame, acesulfame K, sucralosio, saccarina e ciclammato) e polialcoli (sorbitolo, xilitolo, mannitolo, eritritolo, maltitolo). Questi ultimi, oltre agli effetti sul metabolismo glicemico, se assunti in forti dosi, possono provocare disturbi intestinali, gonfiore, flatulenza e diarrea, e sono fortemente sconsigliati nei bambini.

dolcificanti naturali, come miele, stevia, zucchero di canna, sciroppo d’acero, succo d’agave, succo d’uva, melassa, caramello, malto di riso e malto d’orzo: sono certamente una migliore alternativa allo zucchero bianco, soprattutto il miele che contiene preziose vitamine e minerali, ma l’impatto sul metabolismo glicemico è lo stesso e non bisogna abusarne.

…Ma allora non posso proprio mangiare dolci?

Non è così.

La soluzione sta nel liberarsi dal “falso bisogno” di dolcificare tutti i pasti giornalieri, nel riscoprire il sapore naturalmente dolce della frutta fresca matura e nel gustarci liberamente, di tanto in tanto, dei dolci preparati in modo “sano”, bilanciando carboidrati, proteine e grassi e usando ingredienti naturali e di qualità.

Classificazione: 5 su 5.

3 pensieri riguardo “Il dolce inganno dello zucchero

  1. Grazie per il contenuto dell’articolo, molto formativo e informativo. Una piccola curiosità: per “pasta di farina bianca” si intende la normale pasta di grano duro, giusto? Perché nel linguaggio comune, per “farina bianca” intendiamo quella di grano tenero doppio zero. Aspetto un prossimo interessante articolo.

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    1. Salve, grazie per l’apprezzamento, la sua domanda mi permette di chiarire meglio certe espressioni che, nello spazio inevitabilmente ristreto di un articolo, rischiano di rimanere ambigue. In effetti, come lei suggerisce, sarebbe meglio usare il termine “farina” per il grano tenero e “semola” per il grano duro. Nell’articolo mi riferivo alla classica “pasta di semola di grano duro” che la maggior parte degli italiani consuma quotidianamente, in cui la parte glucidica del chicco di grano è stata separata dal germe di grano e dalla crusca. Lo stesso meccanismo, a livello di metabolismo glicemico, non vale invece nel caso della pasta integrale (“di semola integrale di grano duro”), in cui la presenza delle altre componenti del chicco attenua notevolmente l’impatto sulla glicemia. Noto con piacere che ultimamente il consumo di pasta integrale sta crescendo, e i pacchi di pasta integrale cominciano ad occupare più spazio sugli scaffali dei supermercati, ma la pasta “bianca” è ancora largamente prevalente.

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